The likability dilemma

The likability dilemma, ovvero il dilemma dell’amabilità, viene spesso connesso allo stile di leadership ed in particolare alle donne leaders, in bilico fra il doversi dimostrare amabili e il darsi il potere di essere dirette, direttive, assertive, senza sentirsi in colpa o “meno donne”.

In un TEDTalk del 2019, Robin Houser indica magistralmente quanto il likability dilemma affetti le donne leaders e come affondi con forza nei bias e negli stereotipi della nostra cultura e società. Mi è capitato di ascoltarlo recentemente e mi sono ritrovata nelle sue parole. Come lei narra di sé, anch’io sono sempre stata molto assertiva. “Testarda come una mula” diceva mia nonna, “dura, spigolosa, uno squalo” mi sono spesso sentita interpellare.

E ad essere sincera, una parte di me ne è sempre stata fiera.

Una parte. Un’altra parte era pronta a sussurrarmi “Però, dai, potresti essere più morbida, un po’ più arrendevole, un po’ più amabile”. Non che le abbia dato molto peso nella mia vita, e tuttavia c’era un sottofondo di senso di colpa, di donna un po’ sbagliata. “Saresti perfetta se fossi nata uomo” mi disse un tale una volta. Gli rovesciai un calice di vino sulla camicia, inavvertitamente s’intende, e dicendo “Scusami tanto! Oltre che donna, sono nata anche maldestra”.

Quello dell’amabilità versus assertività è un falso dilemma, una ennesima figliazione del mondo moderno delle “o” e della misurazione. Un libro che ho molto amato e che credo chiunque dovrebbe leggere (The Art of Possibility di Ben Zander), individua bene le storture e le conseguenze nefaste di questo universo dicotomico che ci si ostina a popolare, invece di insediarsi di diritto nell’universo della “e” e dell’abbondanza.

L’amabilità, la generosità, l’accoglienza e la gentilezza coesistono con l’assertività, l’assunzione di comando, la durezza. È il rispetto, di noi, degli altri e del pianeta, che fa la differenza. Talvolta l’amabilità a ogni costo cela il non rispetto dei nostri bisogni, idee, desideri. Siamo amabili con gli altri ma non con noi. Non funziona.

Più prima che poi genera storture, contesti violenti o infingardi, dove verità e rispetto spariscono poco per volta.

Ci sono situazioni in cui dire le cose “dritto per dritto”, con schiettezza e determinazione, è la scelta più efficace. E lo si può fare con rispetto profondo.

Mi auguro un mondo con molte meno “o” e molte meno categorizzazioni, in cui il rispetto torni ad essere al centro, a partire da quello nei confronti di noi stessi, senza il quale non vi è rispetto autentico degli altri. E scrivendo mi rendo conto che questa è una delle cifre del mio lavoro, sempre più, nei percorsi d’aula che tengo sulla leadership.

In ciò che facciamo, c’è ciò che siamo. Aver imparato a rispettarmi -e non solo ad accettarmi– è un passaggio ulteriore, che si riverbera nelle mie azioni e comportamenti, oltre ogni etichetta esterna.

Lo auguro a tutti voi che avete letto sin qui: accettarvi è il primo passo, rispettarvi è il passo successivo.

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